ROMA - Ha messo il doppiopetto, ma è sempre lui. Parla il suo corpo, e prima della bocca viene la pancia di Francesco Storace, il presidente conducator del Lazio. Missino sfegatato e battutista irragiungibile. La migliore, tramandata come una reliquia ideologica, è la risposta a questa domanda: dì qualcosa di destra. Lui: "´A frociooo". Ex autista, ex manovale, ex picchiatore. Poi giornalista, uomo-ombra di Fini, deputato e infine governatore laziale. Prima di Storace non esisteva il Lazio, non si capiva proprio dove fosse. C´era Roma, e dopo la Capitale, al massimo, i Castelli. Poi lo sguardo degradava verso la campagna, i pastori della Ciociaria, e Martufello. Basta. A colpi di randello Storace invece ha afferrato la Regione e l´ha trasformata in una curva piena di tifosi accaldati e vocianti dell´italianità. Sul Palazzo della Giunta è stato steso per mesi uno striscione: "L´Italia nel cuore". E il cuore è divenuto col tempo, e con i soldi, il marchio di un secondo partito di destra. Il Lazio come la Baviera, Storace come Franz Joseph Strauss. Confini sigillati persino al centrodestra. Roccaforte autarchica. «Semo storaciani», dicono adesso in Ciociaria, dove aspettano, come da promessa, la costruzione della bretella autostradale Sora-Frosinone. Storaciana la grande famiglia della sanità romana, gli Angelucci. Amico di Storace Claudio Lotito, presidente parolaio della Lazio ma soprattutto monopolista dei servizi di pulizia in città (e fuori città). «Lei mi chiede degli ospedali? E io le rispondo: mica solo quelli? Pulisco il Tribunale, il ministero delle Finanze, l´Inail, l´Istat, l´Acea, l´Università, la Sogei. E allora? Storace è un amico e basta». E allora? Storace è forte e benvoluto. L´altra sera all´Hilton c´erano millecento persone. Cena di autofinanziamento, mille euro per parteciparvi. Belle signore, grandi collier, abiti firmati, bicchieri di cristallo, tovaglie di fiandra. In una serata, solo una, un milione e più di incasso. Ed è indubitabile che la sua campagna così opulenta, esibita e reiterata in ogni luogo, lo spinga a fare di più, sempre di più. Ha voluto la giornata per i valori nazionali. Ha fatto conoscere la storia delle deportazioni titine, le foibe, la violenza e la ferocia comunista agli studenti laziali. Cinque classi le ha portate ieri a Trieste. Nel programma ufficiale di viaggio «buffet, dinner e serata danzante». Paga la Regione. La Regione paga quattro milioni di euro per la comunicazione istituzionale, anni 2004-2005. E Storace martella da ogni dove: radio, pub, pizzeria, festa di battesimo e comunione. Dai rom ai rasta, dai pariolini alle sezioni missine del Tuscolano. Il suo cuore, quello della sua lista, del suo partito personale, è il cuore che il bollettino ufficiale della Regione manda in ogni casa, infila in ogni buca delle lettere. Uno staff mastodontico (paga la Regione), lo segue ovunque, lo accompagna nel tour che quotidianamente il governatore si sobbarca. Pieno di amici, e anche di finanziatori: industriali, piccoli imprenditori, avvocati e commercialisti, ragionieri e militanti. Il senatore Giuseppe Consolo ha raccolto, presente Berlusconi, il fiore dei supporters. Gli eccellenti. Li hanno battezzati "i magnifici cento". Quanti soldi, quanti assegni? L´ufficio stampa del candidato: "Un mucchio di imprenditori che ci sostiene. I loro nomi però li renderemo pubblici il giorno dopo le elezioni». Per adesso niente nomi, e cifre basse. Il budget preventivato per la campagna elettorale non dovrebbe superare, secondo la stima ufficiale, i due milioni di euro. «Chiunque sappia far di conto - dice Giovanni Hermanin, capogruppo della Margherita - capisce che due milioni di euro Storace li brucia in quindici giorni. Ma ha fonti inesauribili: in questi anni abbiamo visto le peggiori clientele, i peggiori affari. Altro che Sbardella! Il missino Storace è molto di più, molto di peggio». E´ campagna elettorale. E seppure i soldi fossero tanti, da soli potrebbero non bastare. I giornalisti gli si sono fatti vicini. Specialmente quelli della Rai. E´ stato presidente della commissione di Vigilanza, ne ha conosciuti tanti, raccomandati parecchi («Se ritenevo giusto, potevo però al massimo favorire un colloquio»). I cantanti. Con lui, fraternamente, il melodico Gigi D´Alessio, il comico Pino Insegno, poi Bud Spencer. In lista l´indimenticato Felice Pulici, ala sinistra della Lazio, quando fu. In lista l´ex rettore della Sapienza Giuseppe D´ascenzo, il conduttore di colore del Tg3 regionale Fidel Mbanga Bauna. Altri arriveranno, perché le sorprese non sono finite, e nemmeno la fatica. Malgrado lo spiegamento di mezzi, la pianificazione magnifica dell´attività di propaganda, la distribuzione capillare dei comitati elettorali, la forza sentimentale del simbolo esibito, un cuore forte e pulsante, "un cuore tricolore", il richiamo alla Patria («ogni volta mi commuovo»), Francesco Storace rischia di non farcela. Proprio così, la battaglia col suo avversario, il televisivo Piero Marrazzo che può contare su uno schieramento vasto e radicato nella Capitale, che da sola vale metà Regione, sarà incerta. Renato Farina, ieri su Libero, gli ha chiesto: «Lo sa che secondo i sondaggi in mano a Berlusconi lei è due punti sotto a Marrazzo?». Storace ha risposto: «Me ne frego!».
|