Mentre si avvicina l’avvio del confronto Governo-parti sociali, si torna a parlare di “scalone” e di revisione dei coefficienti di trasformazione. Temi già al centro del dibattito la scorsa estate e rispetto ai quali non sembrano esservi stati particolari progressi, con l’esecutivo che sostiene la necessità di una decisione “politica” e i sindacati che non ne vogliono neppure sentir parlare. Anche se dietro le quinte si intravedono i possibili punti d’accordo.
Di coefficienti di trasformazione e della necessità del loro adeguamento si sta ormai parlando in Italia almeno dalla scorsa estate: da quando, cioè, lo 'scalone', l'opportunità di anticipare i tempi della riforma previdenziale e, appunto, la revisione dei coefficienti di trasformazione erano i temi del dibattito politico-economico. Da allora sono passati mesi, l'ipotesi di uno 'scalone' di fatto ha finito con l'essere accettato, anche se forse sarà in qualche misura 'addolcito' da una serie di misure compensative, mentre la riforma delle norme sul Tfr è stata anticipata di un anno.
Restava dunque un ultimo 'spinoso' problema da affrontare, anche se tutti già sapevano che la revisione comunque era nell'aria, essendo del resto prevista fin dalla riforma Dini del 1995. Così il fatto che ieri il capo della segreteria del ministero del Lavoro, Giovanni Battafarano, abbia ribadito, a pochi giorni dall'apertura del confronto fra governo e parti sociali sulla previdenza (il 22 marzo), che l'esecutivo non intende fare dietrofront sui coefficienti è di fatto una 'non notizia'. Tanto più che, come già il ministro Cesare Damiano nell'agosto del 2006, anche Battafarano (che parlava ad una trasmissione di RaiUtile) ha ribadito che i coefficienti di trasformazione vanno aggiornati 'con un criterio politico', in grado di tener conto delle conseguenze che si avrebbero sui giovani e sulle carriere discontinue (per le quali si starebbe pensando di introdurre dei contributi figurativi a carico dello Stato per garantire la possibilità di costituire comunque una pensione minima di 400-500 euro anche in presenza di versamenti modesti).
Nulla di nuovo, insomma, a distanza di circa otto mesi. Ma anche da parte dei sindacati, dopo aver di fatto accettato lo 'scalone' in cambio dell'anticipo delle norme sul Tfr (che favoriscono i fondi di categoria, sui quali da tempo puntano le organizzazioni dei lavoratori, rispetto ai fondi e alle polizze individuali) non sembrano esservi aperture o posizioni differenti rispetto a quelle espresse negli ultimi mesi, contrarie alla revisione. Una posizione condivisa dalle forze politiche della 'sinistra radicale' che, pertanto, rischia di mettere di nuovo a dura prova la coesione del Governo: Damiano, per gettar acqua sul fuoco, si è limitato a osservare che la revisione dei coefficienti è sì prevista dalla riforma Dini, ma che in concreto 'si vedrà nella concertazione'. Assicurando, scaramanticamente, che il Governo 'parlerà con una voce sola'.
Rimodulare i coefficienti, ricordiamo, è un modo per ridurre le prestazioni previdenziali, cosa che appare peraltro inevitabile a fronte di un quadro demografico di progressivo invecchiamento della popolazione e posto che non si riesca ad aumentare significativamente la base di lavoratori rispetto alla consistenza dei pensionati. Il nucleo di valutazione sulla spesa previdenziale instaurato dal precedente Governo aveva proposto la scorsa estate tagli dei coefficienti fra il 6% e l'8%: dal confronto dovrebbero emergere riduzioni probabilmente meno significative, ma comunque difficilmente la misura potrà essere evitata.
Oltre ad eventuali modifiche 'sul filo di lana' dello 'scalone' che dal primo gennaio del prossimo anno porterebbe ad un innalzamento secco dell'età pensionabile dagli attuali 57 a 60 anni (modifiche che Damiano non ha mai escluso del tutto e che potrebbero consistere o in un qualche grado di volontarietà del provvedimento, attraverso la previsione di incentivi/disincentivi o l'innalzamento graduale da 57 a 60 anni nei prossimi anni, magari con l'esclusione dei lavori usuranti) resta infine da dare concretezza all'annunciato progetto di unificazione degli enti pubblici previdenziali, sulla base delle funzioni, che secondo il Governo dovrebbe portare risparmi annui per 2 miliardi di euro. Soldi coi quali si potrebbe finanziare in particolare l'innalzamento delle pensioni minime, attualmente inferiori ai 400 euro mensili, che interessano 1,5-2 milioni di pensionati.
Su questo punto Battafarano è sembrato frenare, spiegando che 'mettere insieme enti diversi non è saggio' e che è preferibile avere due sistemi differenziati, 'uno previdenziale e uno assicurativo, perché le missioni sono diverse'. Si andrebbe dunque non verso un 'Superinps' destinato ad assorbire ogni altro ente, ma verso un riordine degli enti che distingua da un lato quelli previdenziali (Inps, Inpdap, Enpals e Ipost), dall'altro quelli a carattere assicurativo (Inail e Ipsema). A frenare sarebbero del resto gli stessi enti, con l'Inail in particolare dettosi più volte contrario all'accorpamento in virtù della propria natura assicurativa dell'ente.
* Analista finanziario, Amministratore di 6 In Rete Consulting
Fonte: Soldionline [http://www.soldionline.it/a.pic1?EID=16737]
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