
La nascita del PD deve evocare sconfinamenti. Se fosse soltanto sommatoria, sarebbe certamente un gran bel sogno. Due forze e soprattutto due culture politiche, ammettendo la loro finitezza ma anche la grandezza del proprio passato, hanno deciso di contaminarsi per prendere in mano assieme un futuro inquietante e, nello stesso tempo, avvincente.
E‘ importante, ma non basta. Il PD deve travalicare ciò che è già. Deve convincere altri ambienti, altre persone. A destra, come a sinistra. Deve ambire ad espandersi.
Innanzitutto, dimostrando che la politica è rispetto ed attuazione di principi non di ideologie. In tutti i campi: da quello etico a quello culturale, da quello economico a quello sociale, da quello istituzionale a quello internazionale.
Princìpi di uguaglianza di diritti, da quello del voto a quello della salute, a quello della sicurezza, a quello del sapere e del lavoro; di solidarietà tra le persone, le comunità, le generazioni, i popoli; di democrazia sostanziale e non formale, assicurando dosi massicce di partecipazione, modalità condivise di formazione delle classe dirigenti, sistemi istituzionali ed elettorali che semplifichino il proprio
rapporto tra governante e cittadini, tra eletto e votanti.
Su tutti e per tutti questi princìpi deve valere quello della laicità nello Stato; nel pieno e grande rispetto delle religioni, delle loro espressioni ecclesiastiche e dei valori a cui si ispirano i cittadini che le praticano, lo Stato deve sempre agire nella comprensione complessiva delle esigenze della società.
In secondo luogo, operando per una società che concilia crescita del benessere ed espansione della inclusione. Più benestanti, ma soprattutto meno poveri. Per far questo, bisogna saper creare ricchezza e saperla distribuire.
La globalizzazione ha esasperato questo binomio. E’ un errore dedicarsi più alla ripartizione che alla formazione della ricchezza. Come se la prima fosse di sinistra e la seconda di destra.
Uno squilibrio tra le due prospettive non farebbe aumentare i consensi al PD.
Per far questo, non ci vogliono meno Stato, meno enti locali.
Ci vogliono uno Stato ed enti locali che si fanno rispettare perché capaci di chiedere ed ottenere che tutti paghino tasse o tributi, ma anche capaci di spendere oculatamente e in modo efficiente.
In questo contesto, l‘impresa e il lavoro devono poter svolgere la propria attività in un‘architettura legislativa stabile, essenziale, di tutela dell‘ambiente e della sicurezza, di salvaguardare dei ruoli delle parti sociali. Così, anche la progressiva multietnicità della nostra società può trovare le ragioni nel rispetto reciproco, dell‘accoglienza, dell‘immigrazione bene orientata.
In terzo luogo, coltivando la voglia di proiettarsi nel futuro con proposte nuove.
Non basta evocare il riformismo. Il cambiamento deve avere motivazioni forte robuste, di lunga durata. Se no, scivola nell‘imbellettamento del conservatorismo. Anche di sinistra.
Sulle questioni del lavoro e del welfare c‘è un banco di prova senza uguali.
Perché implicherà un grande sforzo creativo per evitare la precarietà senza cancellare la flessibilità, per delineare nuove frontiere tra lavoro e non lavoro in termini di professionalità, di diritti e di età, per prospettare le condizioni - nella globalizzazione - per dare sostanza alla partecipazione di chi lavora sia per ciò che riguarda la formazione che la distribuzione della ricchezza, per disegnare l‘equilibrio tra l‘universalità delle tutele sociali - da quella della salute, a quella della maternità, a quella delle famiglie, a quella della terza età - e le responsabilità soggettive ed associative per evitare che un diritto si trasformi in un privilegio.
Uno sforzo che il PD può realizzare aprendosi al confronto più spregiudicato e forze più rischioso come le componenti intellettuali e sociali che vorranno apportare il proprio contributo al confezionamento di una prospettiva di vera innovazione.
Bisogna osare di più e con più consapevolezza che occorre allargare i confine della rappresentanza, soprattutto fra i giovani.
In quarto luogo, proponendosi come luogo e soggetto di democrazia popolare e non elitaria. La partecipazione dei volenterosi non è sufficiente. Va stimolato, attraverso procedure stabili e non occasionali, un coinvolgimento consapevole della gente sia su i contenuti considerati topici dal PD, sia sui gruppi dirigenti. La realtà è che si soffre di asfissia di strumenti partecipativi (e detto nell‘era di
internet è quasi un controsenso) più che di abbondanza di essi.
Il PD deve caratterizzarsi per la scelta di correre l‘alea di un eccesso di un coinvolgimento che nulla toglie alla capacità/necessità dei gruppi dirigenti di assolvere al loro ruolo di orientamento, proposta, mediazione. Anzi, questa funzione è resa più efficace proprio dall‘esistenza di un percorso di
partecipazione voluto e dovuto ed ha il vantaggio di non mummificare la delega al gruppo dirigente.
Un circuito virtuoso di coinvolgimento che rinnova con continuità quella delega, consentirà anche il ricambio nelle cariche elettive e di rappresentanza istituzionale che dovranno essere definite dal PD.
In quinto luogo, esaltando l‘emersione di leadership riconosciute e collaudate.
La politica non ha bisogno di uomini di provvidenza.
Ma “di liberi e forti” si. Da sempre, quest‘esigenza è stata meglio assicurata non dal plebiscito ma dalla canalizzazione politica. Per questo il PD deve nascere e svilupparsi come sede di selezione di un gruppo dirigente “Signore delle idee”, prima che delle tessere.
Ciò rende superabile la fragilità che finora ha contrassegnato la consistenza dei partiti; rende robusta la capacità di aggregazione, aprendo una stagione di superamento della frammentazione della rappresentanza politica.
Per questo possente lavoro di reimpostazione, è importante che le elezioni dal basso dei leaders locali e nazionali siano contrassegnate dai confronti tra programmi, piuttosto che da quelli delle identità di provenienza, dallo scontro tra scelte che attengono alle aspettative della gente piuttosto che dalla tutela di apparati partitici.
Tutto ciò deve portare ad un partito dialettico al suo interno, ma sulla base di aggregazioni nuove, che mischiano culture, che superino l‘identità di “ex qualche cosa”.
Ciò che non deve spaventare e la formazione di “più anime in solo corpo” che esprimono intrecci di esperienze passate che rinunciano a cristallizzarsi ma che vogliono riaggregarsi per dare più vigore alla partecipazione.
Ciò che non deve spaventare è la concorrenza tra leaders che vogliono rappresentare una nuova fase riaggregativa, piuttosto che identità del passato.
Da questo deriva l‘auspicio che si concretizzino leadership forti di adesioni, di proposte, di spirito di servizio. Leadership che consentano dialettica interna e sintesi operativa.
Soltanto in questo modo si potrà prospettare un recupero di consenso rispetto all‘attuale momento.
E’ la natura frammentaria della coalizione di centro-sinistra che inquina l‘incisività dell‘azione di Governo ed alimenta delusioni e dissensi tra gli Italiani.
Un PD aggregante, aperto ai contributi di chi non si identifica con i partiti che lo promuovono e quindi leadership che incarni questa volontà e la renda prioritaria rispetto alle tutele del patrimonio passato. Questo PD può alimentare speranze, rinvigorire l‘impegno, puntare a successi.
Per questo trasformiamo l‘esperienza dei Circoli del Sociale della Margherita in una 'Rete del sociale e del lavoro' nel PD articolata sul territorio.Per tale motivo è importante partecipare alle elezioni primarie per i Circoli Territoriali del PD in programma a fine mese.
PP. Baretta - G. Guerisoli - G. Maggi - V. Menna - R. Morese - T. TreuRoma, 11 gennaio 2008