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UN NUOVO PLURALISMO SINDACALE DA RICOSTRUIRE
di Giuseppe BIANCHI

Nel sottofondo nell’opinione pubblica permane il giudizio di una contiguità tra partiti e sindacati che vengono associati, sia pure con responsabilità diverse, nel declino del nostro Paese.

Questo giudizio è maturato nell’ambito di un contesto istituzionale caratterizzato da una proliferazione disordinata di centri decisionali che hanno svuotato la dimensione pubblica dello Stato quale matrice istituzionale in base alla quale regolare i rapporti fra i diversi poteri dello Stato e tra questi e le parti sociali. L’esigenza posta dalla crisi di liberare la crescita ha aperto il cantiere delle riforme istituzionali in nome di una governabilità che impone, nello stesso tempo, un riposizionamento del ruolo dei partiti e dei sindacati, a correzione delle passate sovrapposizioni che sono all’origine anche dell’attuale pluralismo sindacale conflittuale.

E’ N. Bobbio a rammentarci che “il principio su cui si fonda la rappresentanza politica è l’esatta antitesi di quello su cui si fonda la rappresentanza degli interessi” (N. Bobbio, “Il futuro della democrazia”, Einaudi, 1995, pag. 19).

I partiti sono il perno della rappresentanza politica perché costituiscono, nel sistema democratico, il legame necessario fra società civile ed il professionismo politico, il ponte fra le cose chieste e le cose fatte. Da qui il rilievo che la costituzione da ai partiti in quanto associazioni volontarie che devono concorrere a determinare la politica nazionale (art. 49). I partiti sono chiamati a garantire gli interessi generali ed il fatto che, ad esempio, l’operaio di sinistra non vota l’operaio di destra ma chi è designato dal partito di appartenenza indica che la solidarietà politica prevale su quella categoriale. Questo principio è ulteriormente rafforzato dalla norma costituzionale per la quale ogni membro eletto nel Parlamento rappresenta la nazione senza vincolo di mandato. I partiti poi si confrontano nell’agone elettorale dando luogo ad una maggioranza che governa e ad una minoranza che fa opposizione, fino alla prossima verifica elettorale.

Ben diverso è il ruolo del Sindacato: sono portatori di interessi categoriali (cioè parziali), il legame tra rappresentante e rappresentato è quello di una rappresentanza delegata con vincolo di mandato revocabile, e l’oggetto della rappresentanza, la tutela degli interessi dei lavoratori, presuppone l’uso di strumenti, dialogo sociale e contrattazione collettiva, in grado di portare a risultati che diano benefici reciproci, superando la rigida distinzione tra maggioranza ed opposizione.

Perché questi richiami? Per due ordini di considerazioni.

Se partito e sindacato assolvono a funzioni diverse, diverso deve essere il loro posizionamento giuridico istituzionale.

Il partito, pur essendo un’associazione di diritto privato, assume una rilevanza pubblica che giustifica un intervento regolativo dello Stato per quanto riguarda le regole della competizione elettorale, le forme dirette o indirette di finanziamento pubblico, i criteri di eleggibilità e di decadenza dei parlamentari, e così via.

Ben diversa è la posizione del Sindacato la cui azione presuppone un’ambientazione giuridica di diritto privato perché di diritto comune sono gli istituti che utilizza (dialogo sociale, contrattazione collettiva).

Una spazio di autonomia privato collettiva incompatibile con le esperienze passate caratterizzate dalla subalternità del Sindacato nei confronti dei partiti, o di quelle pur recenti (anni ’80-’90) in cui il Sindacato ha rivendicato per sé un ruolo politico ponendosi come attore di uno scambio politico nei confronti del governo. Esperienze maturate in contesti istituzionali deboli, caratterizzati da inadeguatezze del sistema politico e da un ruolo di supplenza delle parti sociali. Le riforme istituzionali in campo orientate a ripristinare una più efficace governabilità del sistema politico presuppongono il superamento definitivo di queste esperienze passate che hanno alimentato l’errate percezione di contiguità se non di sovrapposizione fra ruolo del partito e quello del Sindacato.

Altro tema oggetto di riconsiderazione critica riguarda i diritti dei lavoratori e se il loro fondamento debba essere la legge o il contratto collettivo. All’attuale disordine istituzionale non è estraneo l’intervento invasivo della legge in campi riservati all’autonomia dell’ordinamento sindacale quali le regole del mercato del lavoro, la risoluzione delle controversie di lavoro, nonché le proposte legislative di cui si va discutendo in materia di rappresentatività dei sindacati, di regolazione dei momenti di partecipazione del lavoro alla gestione aziendale. Questa invasività della legge da un lato ripropone un intreccio equivoco fra rappresentanza politica e rappresentanza degli interessi, e dall’altro solleva problemi in ordine alla cosiddetta “intangibilità” dei diritti dei lavoratori. Un riequilibrio tra legge e contratto deve ricreare spazi all’azione contrattuale per assecondare il recupero competitivo del nostro sistema produttivo aprendo la strada, nei limiti della legge, alla rinegoziabilità dei diritti del lavoro all’interno di strategie di scambio in grado di riprodurre guadagni reciproci nelle strategie produttivistiche. Obiettivo che pone al Sindacato non pochi problemi in ordine alle strategie di tutela, agli assetti organizzativi della rappresentanza, alla qualità professionale dei quadri. Temi che sono stati sviluppati dal Prof. S. Fadda nella Nota Isril N. 38-2013.

La seconda considerazione è mossa dalle seguenti considerazioni.

Cadute le passate ideologie totalizzanti, venuti meno i partiti tradizionali cui i sindacati facevano riferimento (DC, PCI, PSI), oscurata la prospettiva di un ruolo politico del Sindacato, secondo lo schema degli anni ’80-’90, il quesito riguarda la sostenibilità dell’attuale pluralismo sindacale che ha tolto dinamicità all’azione di tutela del lavoro, aggravandone le condizioni di sfavore già alimentate dalla crisi economica e dal “dumping sociale”. In un rafforzato contesto istituzionale che nel riequilibrio dei diversi poteri dello Stato ripristini una governabilità a sostegno della crescita, il riposizionamento del Sindacato nel suo ruolo tradizionale dovrebbe favorire la condivisione di piattaforme unitarie oriente a ripristinare l’autorità del Sindacato nei campi propri della rappresentanza del lavoro.

La diffusione degli Enti Bilaterali nella contrattazione di categoria, propone un ruolo attivo del Sindacato con le controparti datoriali nella gestione dei flussi occupazionali, nelle forme di sostegno ai redditi, nell’organizzazione della formazione professionale, recuperando all’autonomia contrattuale spazi di flessibilità legati alla varietà delle condizioni ambientali che la legge non può cogliere per i suoi connotati di universalità e rigidità.

Infine la ritrovata convergenza dei sindacati o almeno l’avvicinamento delle posizioni in materia di riassetto contrattuale, di misurazione della rappresentatività dovrebbe creare le condizioni favorevoli per una riattivazione della contrattazione collettiva, ai suoi diversi livelli. L’eccesso di conflittualità intersindacale nella misura in cui ha provocato un immobilismo nelle strategie di tutela del lavoro e negli assetti della rappresentanza (con esclusione delle nuove tipologie di lavoro), ha indebolito l’azione contrattuale a vantaggio dell’iniziativa autonoma delle direzioni del personale.

Si ripropone il quesito di sempre: perché il lavoratore dovrebbe associarsi al Sindacato? Quali sono i vantaggi offerti all’iscritto, in un mercato del lavoro che ha messo in crisi le tradizionali ideologie solidaristiche?

Se il Sindacato vuole evitare le ricorrenti profezie che ne prevedono un inarrestabile declino, deve assumere una corretta visione del futuro nel quale inquadrare le decisioni e conseguentemente deve mettere in campo valori, strategie, assetti di rappresentanza in grado di ricreare un filo rosso di solidarietà tra le diverse tipologie di lavoro. Deve riprendere l’iniziativa perché crescita economica e valorizzazione del lavoro camminino di pari passo, considerando che la qualità professionale del nostro lavoro è un vantaggio competitivo, difficilmente riproducibile nei paesi emergenti.

Un terreno, ideologicamente neutro, in cui ricomporre le divergenze sindacali in piattaforme unitarie orientate dalla missione condivisa all’origine del fenomeno sindacale, quella di tutelare il lavoro nelle aziende e nel mercato del lavoro. Non si tratta di riproporre il mito dell’unità sindacale perché il frastagliato mondo del lavoro non è mai stato un blocco sociale omogeneo e ha sempre alimentato forme di pluralismo rappresentativo anche nei paesi ove esiste una unica Organizzazione Sindacale.

Più semplicemente si tratta di ampliare l’area di convergenza intersindacale nel rilancio di una strategia produttivistica in grado di conciliare ripresa produttiva, tutela dell’occupazione e riattivazione dei redditi di lavoro e dei consumi. Va condiviso il suggerimento di Salvatore Rossi, attuale direttore generale della Banca d’Italia, il quale nel suo volume “L’Italia nella crisi mondiale” (Laterza, 2009) scriveva: “Il Sindacato faccia pace con la sua storia, la riconosca, la celebri come merita per poi superarla”.

 
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