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CHI GOVERNA IL MONDO? (di Giuseppe BIANCHI)
NOTA ISRIL ON LINE N° 24 - 2014

“Chi governa il mondo?” è il titolo di un recente volume di Sabino Cassese (Il Mulino, 2013) che si propone di spiegare come la globalizzazione abbia influito sulla sovranità degli Stati nazionali, inserita in una nuova governance internazionale, in cui agiscono, su più livelli, governi, amministrazioni nazionali, istituzioni intergovernative, corti sovranazionali, imprese multinazionali, organizzazioni non governative, uno spazio giuridico globale che l’autore definisce “né unitario, nè uniforme, né organico, né struttura, un insieme di regimi che si sovrappongono e che non sono ordinati gerarchicamente”.

In altre parole una “governance intenazionale” senza un governo, qualcosa di diverso rispetto alla nostra esperienza di vita vissuta all’interno di una sovranità quasi esclusiva dello Stato nazionale entro i cui confini abbiano creato le istituzioni della partecipazione democratica, affidata ai partiti, alle libere elezioni, ad una articolazione pluralistica degli assetti di potere.

Queste istituzioni internazionali che individuano i nuovi regolatori internazionali (2000 stima l’autore), non sono democraticamente rappresentative non essendo legittimate da procedure elettive, ma sono nate mediante accordi che hanno coinvolto gli stati nazionali per fronteggiare i problemi della globalizzazione che riguardano gli scambi commerciali, l’ambiente, il lavoro, i diritti umani.

Problemi al di là della portata dei singoli Stati che hanno richiesto il ricorso a “standard globali” con cui colmare le divergenze tra i diversi ordinamenti giuridici nazionali. L’autore esplora questo complesso universo giuridico fatto di sigle, alcune note (Onu, Cee, Nato, Banca Mondiale, FMI, WTO, la Corte Europea dei diritti dell’uomo), altre sconosciute al pubblico profano, e ne approfondisce il funzionamento in termini di regole che producono, di rapporti con i Governi nazionali, di risoluzione delle eventuali controversie.

Consigliando la lettura del volume, noi ci limitiamo a porci due domande che più direttamente ci toccano come cittadini: i poteri trasferiti dagli stati nazionali ad organizzazioni ultrastatali assicurano gli stessi diritti garantiti dagli ordinamenti domestici? è pensabile che la democrazia degli stati nazionali possa trasformarsi in una nuova democrazia cosmopolita?

Se ben interpretiamo il pensiero dell’autore, la risposta al primo quesito è positiva sulla base di due argomentazioni: la frammentazione dei regimi regolatori evita la concentrazione dei poteri in una istituzione totalizzante, realizzando un bilanciamento dei poteri che è un requisito degli assetti democratici a livello nazionale ed una garanzia per la libertà dei cittadini; la seconda argomentazione è sostenuta dall’assoggettamento dei diversi regolatori al diritto ed al controllo giurisdizionale. Il cittadino che si sente leso nei suoi diritti da parte dello Stato, l’impresa che si sente penalizzata nei suoi rapporti con il mercato da forme di concorrenza sleale, hanno referenti internazionali a cui appellarsi, a rafforzamento delle loro tutele giuridiche nazionali.

Si potrebbe concludere che con la moltiplicazione delle istituzioni internazionali si è allargata l’area del diritto, aprendo la strada ad una globalizzazione del diritto. Diritto privato, in mancanza di un Governo globale,

che sostiene lo sviluppo delle relazioni internazionali e che include anche processi di autoregolazione da parte di attori economici perché i mercati possano godere di elementi di regolarità e di prevedibilità.

Ben più complessa è l’altra questione, quella dell’approdo ad una nuova democrazia cosmopolitica.

R. Dahrendorf nel suo volume (Dopo la democrazia, Laterza, 2001) chiarisce che democrazia e stato di diritto non sono la stessa cosa, perché questo ultimo (lo stato di diritto) “non dice molto sul come garantire “al demos” la partecipazione al processo democratico. La sua conclusione “è che i problemi della globalizzazione possono essere risolti più attraverso l’estensione internazionale dello stato di diritto che attraverso la costruzione di più ampie istituzioni democratiche”.

Le istituzioni della democrazia parlamentare e del governo rappresentativo sono state e rimangono collegate alla forma dello Stato Nazione che già fronteggia con difficoltà i problemi derivanti dai trasferimenti di poteri nazionali a nuove istituzioni regionali (l’Unione Europea nel nostro caso) per i limiti derivanti, ad esempio, sulle politiche di bilancio. Nei nuovi spazi istituzionali internazionali è difficile prevedere le procedure con cui il popolo possa esprimere la sua volontà ed è indicativo come lo stesso Parlamento Europeo sia ancora considerato una fittizia forma di partecipazione popolare, nonostante il lungo percorso costitutivo dell’Unione Europea.

Un dato che i politologi e i giuristi tendono a sottovalutare è la correlazione esistente tra democrazia e sviluppo economico perché la storia insegna che la sopravvivenza della democrazia è direttamente legata al reddito pro-capite. Se guardiamo al processo costitutivo delle nostre democrazie nazionali si rileva che la prima fase è stata quella di assicurare uno stato di diritto, affermando i diritti di proprietà, l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. In concomitanza con trasformazioni degli assetti economico produttivi, questi diritti hanno fatto da lievito alla crescita economica e ad un più diffuso benessere sociale, creando le condizioni entro cui si sono successivamente sviluppate le istituzioni della democrazia politica (i partiti) e poi della democrazia economica (i sindacati).

Occorre ricordare che questo legame tra sviluppo economico e democrazia è stato presente nella costruzione di alcune istituzioni globali. L’Unione Europea, ad esempio, non solo condiziona l’accesso ai soli paesi democratici ma prevede una serie di istituzioni interne e di strategie per promuovere una armonizzazione verso l’alto delle condizioni di vita dei cittadini europei.

Allo stesso modo, a sostegno di uno sviluppo equilibrato a livello mondiale e degli assetti democratici, sono stati create istituzioni quali il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’Organizzazione mondiale del commercio.

Il giudizio riguarda l’efficacia di queste istituzioni e le strategie a livello regionale e mondiale. Oggi questa efficacia è stata travolta dalle forze anarchiche della globalizzazione, sprigionate dai processi di deregolazione finanziaria, della nuova mobilità del capitale, che hanno alterato gli equilibri geo-politici fra i diversi paesi e quelli economici e sociali all’interno dei singoli paesi.

Due tendenze contrapposte sono in atto: una internazionalizzazione del diritto, come combinazione di istituzioni nazionali ed internazionali che dilatano l’universo giuridico a tutela dei cittadini; una internazionalizzazione dell’economia e della capitale che tende ad allargare le ineguaglianze sociali e i

divari di competitività delle strutture produttive, allontanando i tempi politici per la costruzione di una nuova democrazia cosmopolitica che sia a sua volta di sostegno alle indebolite democrazie nazionali.

Un quesito rimane sospeso: gli “spiriti animali” del capitalismo industriale, come ricordato, sono stati nel tempo addomesticati con i nuovi istituti della partecipazione del popolo alla vita politica e sociale, favoriti dalla diffusione del benessere: un analogo percorso potrà essere costruito da una nuova architettura internazionale in grado di addomesticare gli “spiriti animali” del nuovo capitalismo competitivo globale? L’autore non fa profezie: offre una conoscenza di quanto il mondo stia cambiando e di quanto sia carente l’attuale reggimento politico a livello internazionale. Tuttavia le istituzioni globali, sia pure con modalità asimmetriche e settoriali, stanno avanzando con estrema rapidità facendo sperare che con il rafforzamento dei diritti umani e di uno sviluppo equilibrato si creino anche le condizioni perché la democrazia si possa porre come un problema di “global policy”.

 
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