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L’occupazione nel turbine della crisi
di Gabriele Olini
Lavoro bancario | Luglio 2009

L’uscita del DPEF, il documento di programmazione economica, ha portato le previsioni del prodotto interno lordo, anche di parte governativa, sui livelli molto preoccupanti, che erano stati largamente anticipati dai centri di ricerca italiani ed internazionali, ma che avevano avuto scarsa accoglienza dall’Esecutivo. Il PIL dovrebbe cadere quest’anno del 5,2% ed avere secondo il Governo una ripresina dello 0,5% nel 2010; successivamente si stima una crescita del 2% a partire dal 2011. Per quanto siano più elevate delle altre disponibili, queste previsioni sono molto preoccupanti; ci dicono, infatti, che, secondo le valutazioni dello stesso Governo, il PIL sarà nel 2012 più basso del livello assoluto segnato nel 2007 e nel 2008, che aveva già registrato una riduzione dell’1% rispetto all’anno precedente. Posto uguale a 100 il PIL nel 2007, si raggiungerebbe, infatti, secondo le previsioni contenute nel DPEF, il livello di 98,1 nel 2012; nessuna ripresa ad U, ma un mesto andamento a J rovesciato. Questo scenario tenderà a riflettersi pesantemente sul mercato del lavoro dei prossimi mesi. Non si tratta di essere pessimisti o ottimisti; si tratta di leggere i numeri e questi non dicono niente di buono.

La crisi da qui in avanti si riverbererà sul potere d’acquisto dei salari di fatto via il calo delle ore lavorate e la riduzione delle voci più legate ai momenti positivi del ciclo. Si rinvia al FIBA Report in corso di pubblicazione per alcune riflessioni sull’andamento delle retribuzioni nell’insieme dell’economia e nel settore finanziario.

Qui ci concentriamo invece sull’andamento dell’occupazione. Da noi come in Europa la reazione del mercato del lavoro alla crisi non è stata all’inizio drammatica; ma, data l’entità del calo del prodotto e la debolezza della ripresa, si può dubitare che tale situazione perduri. L’esperienza delle precedenti fasi critiche ci dice che la relazione tra la domanda di lavoro da parte delle imprese ed il ciclo economico non è immediata.

Come ricorda il nuovo Rapporto sul Mercato del Lavoro del Cnel (si veda www.portalecnel.it) all’inizio le imprese rispondono alla crisi mantenendo l’occupazione e riducendo la produttività; una fase intermedia può essere quella che porta a ridurre le ore lavorate, tagliando lo straordinario, utilizzando le ferie arretrate, trasformando più velocemente il lavoro a tempo pieno in part time, facendo più formazione, introducendo la CIG o altre forme di ammortizzatore sociale. Non è un caso che nelle grandi imprese dell’industria e dei servizi le ore lavorate pro capite secondo i dati ISTAT si sono ridotte nel I quadrimestre 2009 dell’1,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; con il 2,1% il calo è anche più forte nelle attività finanziarie e assicurative.

Ma dopo il calo della produttività e la riduzione delle ore lavorate, se non c’è recupero di produzione, l’aggiustamento avviene a scapito dell’occupazione, riportando la produttività almeno ai livelli precedenti. Quando e come avviene ciò, dipende dalle situazioni specifiche; può essere ottenuto bloccando gli ingressi o anche accelerando le uscite. I primi ad essere colpiti sono i contratti a tempo determinato, di cui viene bloccato il rinnovo o, qualche volta, accelerata la fine; una sorte analoga va al lavoro parasubordinato ed anche al lavoro autonomo più debole. Come si evidenzia nel Rapporto del Cnel, ampi segni di questa tendenza erano già nei numeri della fine del 2008; nel I trimestre 2009, secondo quanto indicato dall’Istat, nell’insieme dell’economia sono andati distrutti 150 mila lavori a termine, 100 mila posizioni di co.co.co, e 150 mila posti di lavoro autonomi (tra i quali si trovano molti lavoratori “parasubordinati”, ovvero quelli che, di fatto, lavorano per un solo committente). Ne risultano colpiti il lavoro atipico e la componente più giovane dell’occupazione.

Cresce la disoccupazione, ma i soggetti che si sentono più deboli sul mercato del lavoro, spesso le donne, si ritirano dal mercato del lavoro, smettono di cercare l’occupazione: è l’effetto scoraggiamento, che nasconde tra gli inattivi una parte dei disoccupati.

Dobbiamo attrezzarci al rischio, molto elevato in realtà, che l’occupazione sia un indicatore ritardato della crisi, che cioè peggiori per ultimo. Ma qual è la dimensione della distruzione di occupazione a cui andiamo incontro nel 2009? Il rapporto sul mercato del lavoro del Cnel fa qualche stima “prudente” a partire proprio dalle previsioni di caduta del PIL. Si stima una riduzione dell’occupazione nel solo 2009 intorno a 500 mila unità se valutata in termini di teste e di oltre 700 mila unità, considerando la CIG e la trasformazione in part time di rapporti a tempo pieno. Il dato più preoccupante è che tale diminuzione tende a presentarsi per effetto delle perdite già maturate della produzione e del valore aggiunto anche in un’ipotesi ragionevole di consolidamento della congiuntura.

Il numero dei disoccupati rischia di aumentare, così, a fine d’anno di una cifra tra 400 mila e 700 mila rispetto al livello della fine del 2008 (1 milione e 800 mila). In questa situazione si può attendere anche un calo dei consumi, già molto compressi nella realtà italiana, superiore a 2 punti; per risalire la corrente, per quest’anno e per il prossimo, vi è necessità che la fiducia delle persone e delle famiglie venga sostenuta da fatti concreti e spessi, non da generiche e mediatiche rassicurazioni o da calcolate omissioni. L’impegno serve soprattutto a rafforzare le tendenze per il 2010; le stime attuali del PIL per il prossimo anno dello 0,5% significano una riduzione, che rischia di essere permanente, del potenziale della nostra economia. E significano, se perdura il percorso del PIL sotto i livelli del 2007 / 2008, che vedevamo in apertura, una lunga fase negativa dell’occupazione o, per lo meno, un aggiustamento verso il basso della qualità del nostro lavoro. Una prospettiva senz’altro da evitare.


 
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