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E’ possibile un mondo migliore?
(Flavio Pellis – già segretario generale AReS – Associazione Riformismo e Solidarietà)

In questi giorni è stato scritto: «la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste … Il timore e la disperazione si impadroniscono del cuore di numerose persone, persino nei cosiddetti paesi ricchi. La gioia di vivere frequentemente si spegne, crescono la mancanza di rispetto e la violenza, l’inequità diventa sempre più evidente. Bisogna lottare per vivere e, spesso, per vivere con poca dignità».

«oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”.

Questa economia uccide.

Questo è inequità.

Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa … Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”.

In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! Abbiamo creato nuovi idoli … una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano. La crisi mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri …

Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice.

Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole. Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d’acquisto.

A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali.

La brama del potere e dell’avere non conosce limiti».

Chi ha scritto tutto ciò? Marx, Mao Zedong, Marcuse?

Niente affatto; è stato papa FRANCESCO, nella sua recente esortazione apostolica 'Evangelii Gaudium'!

Papa Francesco, lungi dall’essere un “comunista” od «un nemico né un oppositore», non ha fatto altro che osservare criticamente e giudicare il mondo in cui viviamo, traendone non solo un giudizio, peraltro assolutamente condivisibile («il sistema sociale ed economico è ingiusto alla radice»), ma anche indicazioni sulla strada da percorrere per «provocare lo sviluppo di una società più giusta … promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia», raccogliendo la domanda di «migliaia di abitanti (che) reclamano libertà, partecipazione, giustizia e varie rivendicazioni che, se non vengono adeguatamente interpretate, non si potranno mettere a tacere con la forza», al fine di «riconsiderare “specialmente tutto ciò che concerne l’ordine sociale ed il conseguimento del bene comune”», e per «risolvere le cause strutturali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale».

Come sostiene papa Francesco: «La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni. La solidarietà è una reazione spontanea di chi riconosce la funzione sociale della proprietà e la destinazione universale dei beni come realtà anteriori alla proprietà privata. Il possesso privato dei beni si giustifica per custodirli e accrescerli in modo che servano meglio al bene comune, per cui la solidarietà si deve vivere come la decisione di restituire al povero quello che gli corrisponde. Queste convinzioni e pratiche di solidarietà aprono la strada ad altre trasformazioni strutturali e le rendono possibili».

«La solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità».

Per questo ritengo che le grandi culture sociali del 1900 (la solidarietà marxiana ed il cattolicesimo sociale) possono rivitalizzarsi solo incontrandosi, al fine di costruire insieme un modello di società ispirata ad una governance equa e solidale dell’economia (anche finanziaria), coniugata con l’attenzione ai più deboli ed esposti, capace di coniugare mercato e democrazia, sviluppo economico ed eguaglianza; cioè, un sistema capitalistico socialmente responsabile in grado di unire le libertà economiche con la solidarietà sociale (come il “modello sociale nord-europeo”).

È un’idea, una visione, un progetto di futuro, culturale prima ancora che sociale ed economico e politico, alternativo all’egoistico arricchimento individuale di pochi con qualsiasi mezzo (anche illecito) a scapito degli altri, che è il fondamento teorico del neo-liberismo avido e refrattario a regole e controlli.

Sarà un percorso duro e faticoso, ma vale la pena farlo, per noi e per i nostri figli; con la consapevolezza che, raccogliendo la sollecitazione di papa Francesco, «Nessuno può intraprendere una battaglia se in anticipo non confida pienamente nel trionfo. Chi comincia senza fiducia ha perso in anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti. Anche se con la dolorosa consapevolezza delle proprie fragilità, bisogna andare avanti senza darsi per vinti».

Per questo non dobbiamo abbandonare l’idea di poter immaginare e perseguire un «patto sociale e culturale», per costruire un modello di società dal benessere diffuso in cui, pur riconoscendo il merito e la competenza, sia possibile ridurre le diseguaglianze (dei redditi, del lavoro, nelle opportunità, etc.); tutto ciò «implica educazione, accesso all’assistenza sanitaria, e specialmente lavoro, perché nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita. Il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune».

Dobbiamo, quindi, continuare ed insistere per una “visione del futuro”, che possa cambiare l’Italia, indirettamente l’Europa e di conseguenza il mondo; sapendo che «Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali delle disfunzioni della economia mondiale non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema.

La inequità è la radice dei mali sociali.

La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica», al fine di poter dare prospettive migliori di benessere alle prossime generazioni; essendo peraltro coscienti che le grandi idee, quelle “rivoluzionarie” che hanno cambiato il mondo, sono sempre iniziate dal basso e quasi in sordina; inizialmente isolate, avversate, combattute, demonizzate, ma alla fine vincenti.

 
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